/par·là·re/

di Alice Ayres

L’amore viene meno insieme alle parole. Non necessariamente quando si smette di avere cose da dirsi, ma quando non vale più la pena dirle, ché ripetere gli stessi concetti a vuoto è peggio che tenersi tutto dentro — una patetica brutta copia di quando ancora ci si ascoltava. Ancora ci si fidava. Ancora si poteva, si voleva.

Sono sempre stata molto fiera del mio tavolo in cucina. Vintage, originariamente in ottime condizioni, pagato una scemenza. Fino a qualche anno fa, ogni tanto mi capitava di immaginare quel tavolo a distanza di un trentennio, testimone silenzioso di una storia famigliare. Immaginavo i figli che non ho avuto farci i compiti sopra, le vigilie di Natale, le colazioni di fretta, i battibecchi, le risate, i compleanni, le buone e cattive notizie, ma soprattutto le chiacchiere. Conversazioni a cena, ogni sera, cascasse il mondo.

Per anni, accomodati ai suoi lati, abbiamo parlato così tanto che sedermici in silenzio si è rivelato insopportabile. In silenzio insieme, prima ancora che da sola, ché l’amore viene meno con le parole, appunto. Senza quelle non c’è niente, io non sono niente. E anche se il silenzio oggi è riempito dalle serie tv, i messaggi vocali delle amiche, i miagolii dei “padroni di casa”, i gran premi e le canzoni cantate a mezza voce, talvolta mi domando se questo tavolo se li ricorda quei due che parlavano ininterrottamente, di tutto, e che in quel chiacchiericcio sembravano proprio vivi. Anche se lei riceveva sempre e sempre meno di quanto dava, ma questa è un’altra storia. Anzi, non lo è più.