Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Mese: aprile, 2014

I want more

Così familiare, così lontano.
Come toccare l’amore di una vita, come urtare un estraneo per sbaglio.
Una casa piena di ricordi, o forse solo di occasioni perse. Come questa, in cui potremmo guardarci e abbracciarci e ridere della nostra piccolezza di esseri umani illusi che l’Amore aggiusti errori, difetti e promesse immantenibili. L’occasione in cui piangere per ciò che siamo stati e abbiamo creduto di divenire l’uno per l’altra, ma soprattutto per lasciare che questo sentimento finito, consumato e a tratti insincero abbandoni per sempre la nostra anima, depositandosi sulle gote con la silenziosa purezza che solo una verità che fa male possiede. La verità che confesseremo alla nostra coscienza stanotte, nel buio dei rispettivi giacigli: Non ti amo più. E non da oggi, non da ieri, ma da così tanto che non sono in grado di riavvolgere il nastro del cuore e ricordare quand’è che lo hai fatto scalpitare senza alcun velo di terrore. Potrei baciarti adesso, e venire a letto con te in nome dei sorrisi ormai perduti, e illudermi che basti spogliarsi dei vestiti per scrollarsi di dosso la delusione che hai impiantato come un seme velenoso dietro ai miei occhi senza che mi opponessi, fino a trasformarmi nella persona scorretta che so essere quando la mia più vulnerabile speranza viene disattesa dalla persona a cui chiedo – semplicemente – di non combattermi. Potrei dirti le cose che ho fatto e accoltellarti con tutti i dettagli che la tua insensibilità meriterebbe, e cavare fuori dalla tua gola ira, urla e disprezzo solo per dimostrarti che quella del cinismo è una corazza ridicola che fa sentire al cuore meno dolore solo perché ne trattiene – comprime – i battiti, senza però dargli alcuna forza. Fino a quando quel che resta è soltanto un organo stanco… di non avere nemmeno vissuto davvero. Potrei raccontarti tutte le cose che non sai di te stesso, e sedermi davanti al grande schermo della tua esistenza per vedere un film prevedibile fino all’ultimo ciak, compatendo i protagonisti e quella sceneggiatura a cui la lettura di centinaia di libri non è servita a niente.
Potrei. Potresti.

“Ti hanno vista sabato in centro, eri con uno”.
Chissà se di me ti hanno detto anche altro, chissà se hanno visto i sorrisi, e il volto disteso, e la serenità di cui non avevo più memoria. Se hanno notato gli occhi che sembrano vedere tutto per la prima volta, persino la mia stessa città; o ancora le gambe che imparano a camminare leggere, come a danzare scalze sul bagnasciuga del futuro. Senza catene, senza quel dolore autoindotto che ci ha sempre accomunato, la lettera scarlatta della mia irrazionalità. Il lesionismo che ti agguanta per la trachea e trascina sott’acqua, convincendoti che la sofferenza sia l’essenza nobile della Vita, un’imprescindibile crudele identità. L’autolesionismo che oggi mi ha portato in questa casa per guardarlo in faccia. La tua faccia. E che infine mi ha vista uscire da quella porta in lacrime, ma conscia –  for the very first time – di non volergliela più dare vinta. Che il meglio, per me, deve ancora venire. E me lo merito tutto.

Gioconda

C’è stato un tempo in cui riguardando le nostre foto rimpiangevo quel mio sorriso ostinatamente aggrappato all’amore.
Quel tempo era poche settimane fa.

C’è stato un tempo in cui riguardando le nostre foto rimpiangevo quel tuo sorriso forzato e mai intenso. L’obiettivo della mia ostinazione, il motore del mio starti accanto.
Quel tempo era qualche mese fa.

C’è stato un tempo in cui riguardando le nostre foto mi sono chiesta chi fossero quei due, sempre più vicini ma sempre più sconosciuti. Quelli che ora – apatici e indifferenti – incrociano accidentalmente gli sguardi senza nemmeno un velo residuo di emozione.  Come se non fosse. Come se non fossimo.
Come se si morisse così tanto nella stessa vita da azzerare ogni volta le promesse d’amore non mantenute, e forse mai credute.
Quel tempo era ieri.

C’è stato un tempo in cui riguardando una nostra foto mi sono vista bella. E illusa, e ingenua. Ma forte.
Senza rimpianti ma con semplice compassione, ho osservato il mio sorriso candido e convinto, gli occhi verdi – dolcissimi – alla ricerca di certezze che non hai mai saputo darmi. E all’improvviso tutto ha avuto un senso.
In un istante ho capito, in un attimo ho fortemente sentito.
Che posso essere molto più felice di quel giorno. Infinitamente più felice.
Felice e basta. Come quando l’azzurra limpidezza del cielo fa quasi male, e lo splendore delle cose semplici cattura l’anima. Quando i prati si trasformano in piste brillanti su cui far galoppare sorrisi e lacrime di gioia, finalmente liberi. Senza ostacoli. Senza compromessi. Senza ciò che confondiamo per amore.
Quel tempo è oggi. Quel tempo sono io.