Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Mese: febbraio, 2014

Another

Sarai quel messaggio inaspettato ma tanto atteso, di quando all’improvviso tutto ciò che vuoi udire è la suoneria delle notifiche di Whatsapp. Sarai il sorriso emozionato e bagnato di colei a cui dedicherai nuove parole, la tua ironia, la malizia, e tutte le armi scintillanti che sappiamo sfoderare nella fase più egocentrica e inebriante di tutte – il corteggiamento – in cui fingiamo di essere solo i nostri pregi, e il meglio di noi acceca la preda. Quando ormoni e autostima danzano insieme – impazziti – fino al culmine di un primo bacio, un primo orgasmo, la prima pagina di un nuovo Noi.

Ti immagino di un’altra, lontano mille miglia da me, come già ti sentivo persino quando sognavo viaggi, risvegli e traguardi insieme, mano nella mano. Quando commuovermi davanti ai tuoi occhi era ancora un momento di intimità e non l’attimo in cui mi facevo bersaglio della tua voglia di fuggire dai bisogni del mio cuore fragile. Dalla dolorosa consapevolezza di essere destinata a perderti, ché forse ormai quella di appartenere l’uno all’altra era solo fatica.

Sarai il batticuore della prima uscita insieme, quando fluttuare nei tuoi occhi infelici è un estasiante naufragio, e non ci si può che domandare cosa si nasconda dentro a quello sguardo intenso come le più pericolose false speranze. Sarai l’abbraccio dopo il sesso che t’illude di non esser più sola, sarai il sogno adolescenziale di una vita insieme, di un bambino con la tua stessa testa grossa a cui insegnare che la vera intelligenza passa attraverso il cuore e non solo i libri.

Sarai tutte queste cose, e un giorno – che ora mi fa solo paura – le sarò anche io, e condividerò con qualcun altro quello che ho imparato insieme a te senza mai dirgli da dove viene. Così, porterò un pezzo del nostro amore in un nuovo inizio, per tenerti addosso nella vita che verrà, e far sì che il dolore di oggi non sia stato invano, trasformato in uno scrigno di ricordi di cui sorridere a distanza di anni.

Sarai tutto ciò che avrei voluto come stella polare.

“Scrivi”

Scrivi Alice, scrivi. Non smettere, anzi, fallo ora che il tutto sembra indifferente e inutile. Perché non riempie il vuoto, non dà forme ai contorni spezzati. E non è nemmeno uno sfogo; se lo è, ti bastava poco. Fallo perché è più come vomitare dopo una sbronza violenta, dopo esserti riempita fino al collo. Dopo aver gettato sulle ferite alcol e sigarette. Ti sei divertita, certo, a tratti – forse – hai pensato persino di volare. Presentuosa avrai addirittura creduto di saper volare. Poi il fardello di quei galloni ti ha riportato giù, perché prima o poi si deve sempre tornare a  terra.

E allora ti ritrovi in ginocchio a fissare il muro: ti verrebbe da piangere ma anche quello, ormai, ha poco senso. Il primo conato è un avvertimento, al secondo ti lasci andare. Lo fai scrivendo su una pagina bianca, come il più classico dei cessi. Tiri giù tutto, fino all’epicentro dello stomaco, passando per cuore e parole. E quando pensi di aver finito, ne avrai ancora. Perché questo non guarisce e nemmeno allevia, ma almeno la testa girerà meno. Sarai, per un attimo, più lucida. E forse anche cinica.

Chiudi l’asse del foglio, ora, puoi andare a dormire.

G

Queste parole non arrivano da una persona qualsiasi. Per due motivi.

Prima di tutto perché si tratta di un (giovane) uomo così sensibile ed empatico verso l’universo femminile da smentire tutti quei maschi che considerano il dolore di una donna una malattia ammorbante da rinfacciarle con annoiata superiorità. E io li conosco bene. Li ho anche amati, amaramente più di me stessa.

Moreover, costui è l’autore di L’ha detto un italiano, ebook che testimonia e interpreta – in quel modo semplice e privo di sovrastrutture che sa arrivare al cuore – la grandezza dei nostri pensatori, della nostra cultura, del nostro idioma, ma anche della gente comune come me, fiera di essere nata in un Paese che qualche motivo per amarlo – in fondo – ce lo dà ancora.

Per questo e per la mail notturna, grazie Guido.