Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Mese: ottobre, 2012

Per un’ora d’amore

…E poi succede che il tuo lettore mp3 propone Close to you di Burt Bacharach proprio mentre stai mandando a un’amica la foto di una tua conquista estiva. Uno di quei gesti goliardici che le femmine compiono per sentirsi emancipate e sprezzanti dell’amore. Per negare che quel passeggero distratto – nel seppur breve viaggio compiuto insieme dalle loro vite – fosse molto più di una piccola comparsa sessuale.

Succede allora che ti rimetti a guardare la sua foto, ingrandendo ogni dettaglio: la camicia, le rughe d’espressione, il sorriso accennato. E soprattutto quegli occhi. Occhi verdi e innocenti, capaci di guardare il mondo con stupore e curiosità, come se il dolore non esistesse, come se la vita avesse sempre un lieto fine. In un attimo sei di nuovo lì, sotto il sole cocente di San Francisco, seduta sul prato di Dolores Park a ridere e raccontargli di te, per l’ultima volta. A sentirti viva, giovane, fresca. A sognare una vita lontana dall’Italia, dagli obblighi, dalla perifrasi “fine mese”.

D’un tratto con le dita stai di nuovo disegnando quel viso, ogni piega della pelle, la cicatrice sulla spalla, i battiti del suo cuore che tranquillizzano il tuo. Riesci a sentire il suo odore, i respiri lunghi di quando si addormenta, il sapore delle labbra che ti baciano all’improvviso mentre stai parlando.

Sei sotto la mia carne. Lo eri già prima di rivolgermi la parola, prima ancora di sederti al mio tavolo in quella sera di agosto. I nostri sguardi si sono incrociati per un istante, per sbaglio, per cortesia, e io non ho potuto che pensare: “Eccoti, finalmente”. Ti stavo aspettando e nemmeno lo sapevo. Dopo più di diecimila chilometri percorsi da sola, eri lì – splendido – davanti ai miei occhi.
Ora sei dentro di loro, nei ricordi che li fanno velare di commozione, nei sorrisi che mi rammentano che la Bellezza esiste per tutti, persino per me. E brilla accecante nella consapevolezza che anche tu, dall’altra parte del mondo, mi stai ancora pensando. E va bene così, senza mai più dirsi altro.

Sei arrivato e mi hai restituita alla Vita con una sola frase, pronunciata sottovoce al risveglio, mentre ci guardavamo con la dolcezza unica degli occhi di due amanti che hanno dormito abbracciati.
“I’m glad I stayed”.

 

Respiri affannati

Non diteglielo mai. Quanto mi piace entrare in casa sua, lasciando i pensieri fuori dalla porta. Quanto è bello ridere insieme come se fosse sempre vacanza, con la trepidazione mista a un pizzico d’imbarazzo di chi sa che quei sorrisi stanno per trasformarsi in baci.

Non ditegli che la sua bocca è il nettare della sensualità, e che nessun amplesso da film a luci rosse varrà mai l’inaspettata dolcezza di quelle morbide labbra che baciano il mio corpo – tutto – lentamente, prima che il romanticismo lasci spazio a fervore e irruenza. Non deve sapere che quando sfiora la mia schiena mi sento come un’opera d’arte che prende vita dipinta dal suo respiro.

Non raccontategli cosa provo mentre la sua mano mi afferra con veemenza il viso, il collo, lo scalpo, i capelli. Mentre mi guarda negli occhi e affonda dentro di me, tenendomi ferma come fossi un animale impossibile da catturare, un felino selvaggio che si è arreso al suo comando.

Non confidategli che tra le sue mani il mio corpo non ha segreti né imperfezioni. Che il modo in cui accarezza la mia anca un po’ troppo carnosa – o ancora la mia pelle tutt’altro che soda – glorifica il mio essere donna, senza artifici, senza paura di non piacere.

Non fategli sapere che sono pazza dei suoi lineamenti: quei grandi occhi a mandorla, la bocca carnosa, le gote piene e lisce, il profilo del naso che parla d’Arabia e terre lontane. Del suo odore che mi resta addosso come una seconda pelle, come un peccato, come una benedizione.

Non dite niente a quest’uomo troppo preoccupato del confine tra passione e sentimento. Quel filo sottile su cui io invece amo piroettare, in bilico tra la voglia di restare per una notte e il bisogno di fuggire via.