Solidarietà femminile

È di questi giorni la notizia dello sciopero della fame diPaola Caruso, giornalista del Corriere della Sera condannata dai piani alti della testata alla precarietà a vita. La sua scelta, sebbene poco originale, fa discutere soprattutto poiché di precariato nell’ambito editoriale si tende a non parlare, quando invece di giovani talentuosi spremuti come limoni senza nemmeno un rimborso spese in cambio ce n’è a migliaia.

Allo stato attuale delle cose, mi domando quanta differenza intercorra tra le donne che vendono il corpo per una raccomandazione e/o un lavoro assicurato, e quelle che svendono il loro brillante cervello per infiniti co.co.co. privi di qualsiasi garanzia e spesso nemmeno pagati. Forse una differenza c’è: le prime sono più furbe delle seconde, anche solo per non aver investito denaro e diversi anni di vita in quel percorso accademico necessario a chi voglia non tanto un pezzo di carta chiamato ‘laurea’ quanto un background culturale che lo aiuti a compiere il lavoro dei suoi sogni in maniera non improvvisata.

Forse indignarsi davanti a una disperata come Karima El Mahroug (che a me fa ribrezzo tanto quanto chi l’ha ricoperta di soldi) è ormai un atto anacronistico, incompatibile coi tempi che corrono: la meritocrazia al giorno d’oggi c’è, solo che riguarda un tipo di talento diverso da quello intellettuale. È sbagliato? Sì. È disgustoso? Certo. Eppure sembra quasi noi donne, ormai, dovremmo essere ‘liete’ di sapere che nella peggiore delle ipotesi ci sarà sempre qualcuno disposto a farci arrivare a fine mese, in cambio del nostro frutto ‘proibito’ ovviamente. Che sollievo, ora sì che le mie due lauree hanno un senso. Grazie, Italia.