Senza titolo

Senza titolo, come una persona che non sai definire in una parola sola.
Come due occhi che vedono bellezza in tutto, ma non si fanno toccare da niente.
Come una marea di convinzioni prepotenti ma destrutturate, che s’invertono e contraddicono a ogni sorgere di luna lasciandoti solo due strade: credere a tutto ciò che esce da quella gola o non credere a nulla. Cercare la Verità nell’immediatezza di un istante insieme, oppure perdere ogni certezza nella sua estensione. In entrambi i casi, senza porsi domande.

Non me ne sono posta dinanzi al sorriso soddisfatto che mi ammirava gustare – gioiosa – uno dei suoi piatti. Fino all’ultima briciola di pane tostato a cubetti, fino all’ultima noce tritata. Con poche parole, molta musica, e gli occhi quasi languidi.
Non me ne sono posta in un lunedì mattina di maggio, fuori il diluvio e in tv i cartoni animati a ovattare ogni dolore. Come quando, da piccoli, si saltava la scuola e tutto era lecito, semplice, puro.
Non me ne sono posta in autostrada a 160 km/h, cantando Lucio Battisti insieme, la musica come unica via verso la spensieratezza.
Non me ne sono posta, o almeno ci ho provato, le volte che la mia ipersensibilità è stata incompresa, sottovalutata, maneggiata con approssimazione. Quando ho capito che nessun gesto era riservato a me soltanto, bensì gettato alla costante mercé di tutti, indistintamente. Carezze sulla schiena, complimenti, sorrisi, cene a due, una canzone ascoltata insieme. Niente di permanente, niente di intimo, solo la caducità di un attimo – prima che al mio posto si sieda qualcun altro.

Volere bene è un po’ come la grafia: ognuno lo fa a modo suo. Bisogna leggere tra le righe – anzi imparare a leggere quelle righe, scritte da una mano così diversa.
O forse no, forse basta apprezzare la bellezza di un tratto, anche se delinea parole per noi intraducibili. Troppo acerbe e incostanti per raggiungere il nucleo dell’anima, ma non per questo meno vere.

Cosa sono, adesso non lo so. Sono un uomo in cerca di se stesso.