Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Mezzo minuto prima

Di addormentarmi, mentre depisto pensieri ferali.
Di piangere tutte le lacrime che potrei — che dovrei. Pentola a pressione senza più spazio, orologio dai secondi inceppati: la lancetta vibra ma non avanza, per scongiurare l’esplosione.
Di spiegarlo fino in fondo. Brutale, cruda, potenzialmente cattiva — cattiva come tutti, ormai l’ho capito.
Di sentire il cuore sbattere a un ritmo che nemmeno il tremore della mano eguaglia.

Urlare, solo urlare. Nella speranza che dopo sia un silenzio diverso, non questa somma di dolore. Strati su strati di cose non dette nel modo opportuno, o non dette affatto: trascurate ancora prima di nascere, meglio soffocate da me che dal destinatario. Fughe possibili agognate ma rimandate, mentre nuove paure strisciano sul cuscino per ricordarti i tuoi errori. Pienezza della vita che la pavidità svuota, come i corpi che invecchiano, come i lumini esausti. Poi, più niente. Il buio arriva presto in questi mesi, si sa. Risucchiando un’altra giornata in cui avresti voluto fare di più: per Sirima, che attraverserà il mondo per dire addio a sua madre; per Heba, che forse ha un tumore ma non l’ha capito; per Julia, che mentre ti lagni di dormire male si spacca la schiena dalle 19 alle 7. Per te stessa, che senti gli organi interni da una parte e il resto del corpo altrove.

Trenta secondi. Questo basterebbe per arrivare al limite del percepito e scollinare. Ribaltare tavoli, affondare coltelli, fissare il vuoto prima di chiudere i battenti. Un tempo brevissimo, ma sospeso. Troppo perché giunga davvero.

Quando sono triste

Ho un quartiere del cuore dove rifugiarmi. Uno di quelli che non sembra nemmeno di stare a Milano, anche se la metro è a un passo. Passeggiando per le vie ci s’imbatte solo in chi lì abita, come in ogni zona residenziale che si rispetti: niente negozi, ma silenzio e benessere.

Tra clinker vintage perfettamente conservati e aiuole dalle foglie lucenti dimentico il resto del mondo, soprattutto il mio strazio. Il tempo immobile di queste strade sospende l’età e ogni scelta sbagliata: restano solo i miei passi di bambina, che tante volte le percorsero trepidanti. Dietro a una finestra inglesina ritrovo ricordi che leniscono il cuore: la foca peluche che stringevo forte forte, i clic di vecchie foto che mi ritraggono con un giocattolo caricato a molla tra le mani, il ragno che camminò sulla pelle di mio fratello facendolo urlare. 

Ma soprattutto, qui avverto ancora quel calore che solo la protezione dell’infanzia ti dona: il lusso perduto di essere fragili, delegando a terzi la cura delle tue ferite. Ecco, io la affido tutta alla bellezza di queste case.