Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Tag: felicità

Mirror

L’ho guardato attentamente. Ho sentito il suo odore, il calore, soprattutto il gelo. Dopo un orgasmo la percezione è più vivace, è come se venire significasse vedere, avvicinandomi alla Verità. Ho osservato il nostro letto come mai prima. La costante penombra che non lo illumina mai abbastanza. Le lenzuola macchiate di sborra e lacrime. Ho pensato che fosse il simbolo perfetto di questo amore im/possibile, il giaciglio delle promesse che non si manterranno, dove il sesso più intenso sembra dire «addio» ma anche «resta», e gli abbracci nella notte sono l’unica dolcezza che ci rimane. Dove sentirmi troppo spesso sola al risveglio, e commuovermi ripensando a tutti i sorrisi che coloravano questa casa che ho sempre sentito ostile, nella cruda consapevolezza che nulla sarebbe mai stato nostro, neanche il letto a cui né il mio corpo né il mio cervello sentono di appartenere.

L’amore è uno scontro di differenze, è la paura che l’uomo davanti a te confonda la condivisione con una prigione, ché per fare entrare qualcuno nella propria vita fino in fondo non basta un ‘Ti amo’. Ci vuole una gioiosa, straripante, coraggiosa arrendevolezza di cui scopro gli uomini sempre meno virtuosi, privandomi pian piano io stessa di questa capacità, inabile come sono ad accettare che sarò eternamente infelice fino a quando continuerò a sperare di essere amata come vorrei. Nell’esatto modo in cui amo io.

La cosa peggiore di venerare troppo se stessi è che nessuno reggerà il paragone con la nostra presunta e infondata perfezione.

Filippo #1

Quella volta che abbiamo visto il tramonto in motorino in Via della Conciliazione e siamo tornati a casa tutti infreddoliti anche se era appena settembre. Dal freddo che sentivamo nelle ossa abbiamo messo sul letto il piumone invernale con un mese di anticipo, scambiandoci lo sguardo complice di chi vuole solo farsi le coccole.

Quella volta che di notte c’è stato un tuono pazzesco e ci siamo svegliati di soprassalto, terrorizzati. Pensavo fosse scoppiata una bomba e non riuscivo più a dormire, allora sei rimasto sveglio anche tu, per tranquillizzarmi.

Quella volta che a Firenze sei andato di soppiatto in cucina, tornando con un vassoio pieno di stuzzichini che avevi preparato per un aperitivo tutto nostro. Mentre poggiavi quel banchetto sulla scrivania mi sono messa a piangere di commozione perché nessuno aveva mai fatto una cosa così dolce per me.

Quella volta che sei tornato a casa tardi e mi hai trovata a sorpresa seduta sul tuo letto, e nel vedermi hai fatto un sorriso di gioia che per un istante ha cancellato tutto il dolore del mondo.

Quella volta che alle quattro di notte ci siamo mangiati le lasagne a letto, nudi. Ho fatto indigestione e la mattina seguente ho vomitato l’anima, ma ne era valsa la pena.

Quella volta a Ischia che i vicini di stanza del bed and breakfast ci hanno detto che era bellissimo sentirci ridere di prima mattina.

Quella volta che eravamo al mare a fine aprile e hai spostato il treno di ritorno per non andartene da me, e quando me lo hai detto io ero in accappatoio e sono affondata tra le tue braccia.

Quella volta che una zitella sosia di Stefania Nobile ti ha detto che noi due non c’entravamo nulla l’uno con l’altra e che non sapeva cosa ci trovassi in me, e tu le hai risposto solamente “Io invece la trovo stupenda”, lasciandola senza parole.

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