Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Tag: amicizia

Londra

Ci ho vissuto due volte. E per due volte non l’ho sfruttata al meglio. Occasioni mancate, a volerla riassumere crudelmente. Due grandi insegnamenti, per come la vedo io.

Nel primo caso fu la fine della mia storia in Italia a fregarmi, trascinandomi in un abisso di domande senza risposta, annullamento e inazione. Fino a non alzarmi più dal letto mentre, là fuori, la città si faceva amare da qualcun altro. In quella circostanza non fu il cosa a sconvolgermi, ma il come: un abbandono meschino nell’unico momento in cui bisognava lasciarmi vivere pienamente un’esperienza importante e meritata. 
E da qui una lezione non da poco: se non ti difendi mai, sarai sempre la persona sacrificabile della coppia.

La seconda volta, a fottermi furono depressione e ingenuità. Poco dopo il trasferimento interruppi, con le giuste modalità s’intende, il mio piano terapeutico a base di paroxetina: una mossa poi rivelatasi troppo ottimista, sebbene sotto benestare medico. Nel frattempo infatti stavo intessendo un nuovo rapporto sentimentale malato, che credevo di avere sotto controllo solo perché ero ancora supportata dai farmaci. La loro assenza, insieme alla lontananza dagli affetti, a quella nuova frequentazione tossica, e ai diktat autoimposti perché sono venuta fino a qui perciò devo portare a termine il mio progetto, mandarono tutto in frantumi. Ma non invano. In quell’occasione ho imparato qualcosa che prima di allora mi era impensabile: tirarsi indietro e arrendersi non sono necessariamente la stessa cosa. Infatti quel progetto lo abbandonai, eccome, ma non per viltà: semplicemente non era ciò di cui avevo bisogno per stare bene.
Oggi, il mio solo devo è proprio questo: distinguere sempre cosa mi aiuta e cosa no. 

Nonostante il retrogusto amarognolo, amo Londra e le piccole cose che mi ha lasciato.
L’arte dell’attesa, ché se hai fretta il problema è il tuo non saper ingannare o accettare il tempo. Fare pace con la pioggia, crudelmente battezzata “brutto tempo” quando sono solo vestiti bagnati. Le due amiche che non mi hanno mai fatto mancare vicinanza e attenzione: la testimone di entrambi quei periodi londinesi, nonché delle mie nozze; la coinquilina abusiva della mia seconda casa, che ogni volta che ci ritroviamo è come se ci fossimo salutate il giorno prima.

E poi le luci di Natale. I marciapiedi del centro. Il silenzio delle periferie di sera. Il cibo indiano in ogni dove. L’arte. I mattoni. Il braccio teso davanti agli autobus. L’efficienza dei lavori in corso e dei customer care. Vedere l’alba sul Tamigi. La gente a teatro. Il sogno europeo.
E il mio Greenland Dock, che mi fermavo ad ammirare anche quando il vento era gelido e tagliente. Piccoli momenti di pace a indicarmi la via. Quella che mi ha resa chi sono ora.

Tre

Sono cambiate tante cose negli ultimi tre anni, mentre non c’eri. Sono cresciuta – forse invecchiata – senza sentirti più al mio fianco, senza la tua camminata a lunghe falcate e quel sorriso dolceamaro. Ma soprattutto senza sapere dove fossi. Tre anni in cui la nostra amicizia – così perpetua da essere quasi ovvia – si è trasformata in un silenzio privo di soluzione. Tre anni di attesa senza alcuna data di scadenza, scanditi da ogni fase umana di dolore e accettazione, da una vita apparentemente normale ma con un pensiero rivolto sempre a te. Chissà se soffri, chissà se sorridi, chissà se sopravviveremo ai grovigli che ti hanno avvinghiato fino a stritolarti.
Chissà se ci rivedremo mai.

È arrivato il 2019 e guardando i fuochi d’artificio non ho espresso alcun desiderio, forse per non toglierlo a qualcun altro, a partire da te, forse per non cedere ad alcuna illusione, per imparare a convivere con le privazioni della realtà. Pochi giorni dopo, invece, la tua telefonata. L’oscurità che si fa penombra, mostrandomi una via che avevo temuto impossibile. Esco di fretta senza quasi dare spiegazioni, affinché nessuna parola ci possa rubare altro tempo; scendo le scale incredula, sentendo i gradini soffici, instabili quanto le mie gambe; apro il portone guardinga, ma invece è tutto reale: siamo di nuovo noi, proprio qui dove c’incontravamo dai tempi del liceo. Ci sono i tuoi occhi, finalmente meno tristi; c’è il tuo sorriso, dolce come forse non l’avevo mai visto; ci sono le nostre risate, che raccontano ancora una lunga amicizia. I sampietrini sotto i nostri piedi – solo loro – la conoscono bene: sono la nostra casa, in tutti i sensi, e spero di esserlo un po’ anch’io per te. Anche, soprattutto, ora.

Dopo tre anni, il silenzio non significa più attesa. Adesso è perdono, fratellanza, limpidità. Sorrido, peso le parole e mi sforzo di non piangere: se lo facessi penseresti di avermi ferita in questo tempo, invece non è così. Vorrei singhiozzare a dirotto solo perché, in questa fredda sera di gennaio, mi sto rendendo conto di quanto sperassi di ritrovarti. E di quanto sia fortunata a vedere esaudirsi un desiderio che non avevo il coraggio di confessare. Qualsiasi cosa ci riservi il futuro.

Passa una settimana, ed è ancora tutto vero. Sei qui, ti posso scrivere, sentire, vedere. Finalmente posso presentarti mio marito, che tanto ha sentito parlare di te: sono emozionata, pervasa da un misto di brio e titubanza come a un primo appuntamento. Il vostro. Seduti al tavolino rotondo di un bar, vi guardo chiacchierare con naturalezza, con la stessa cura che da sempre rivolgete a me, uniti inconsciamente dal commovente desiderio di non deludermi. Resto in silenzio, quasi sopraffatta dal candore dei vostri cuori immensi. Non scorderò mai questo momento: mentre lo penso sorrido, lenita dalla sensazione di pace, giustizia e bellezza che mi s’irradia dentro. Siete il tepore delle coperte quando fuori la brina colora i vetri delle auto, siete l’aria di montagna che pizzica il naso sotto a un cielo stellato, siete la stoffa portafortuna su cui mia mamma nebulizzava il suo profumo quando ero bambina, siete il pastore che mette al riparo il gregge prima della tempesta, siete il silenzio di una chiesa mentre fuori il mondo grida, siete il mare che sbuca all’orizzonte il primo giorno di vacanza. Siete il passato e il futuro, ma soprattutto il mio presente: siamo vivi, siamo al sicuro, e del domani non m’interessa nulla.