Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Categoria: Alice

I regret nothing

Anche di un anno così. Per il quale, anzi, più degli altri sono grata.

Perché per ora la mia famiglia è sana e salva, perché – seppur con qualche difficoltà – i miei genitori hanno obbedito ai miei diktat, modificando radicalmente la loro routine e trasferendosi altrove a tempo indeterminato. Lontani da questa Milano piena di contagi, ma anche piena di persone date per scontate che seguono le regole pensando al prossimo e non a una presunta libertà personale violata. Che antepongono il rispetto a un rabbioso tono di voce — quello che il tuo interlocutore sente lo stesso se parli al telefono con la mascherina, anziché abbassarla.

Ma soprattutto perché sono rimasta aggrappata al mio baricentro, che ho scoperto sempre più saldo di quanto pensassi. Anche quando ho vacillato, anche quando ogni cellula di me voleva attuare provvedimenti drastici, ruvidi, finalizzati sì all’autoconservazione ma non senza feriti lungo la strada. Qual è il momento in cui una decisione si fa scelta? Qual è il prezzo da pagare per non sentirsi mai in trappola? Forse quello della solitudine, come se negli ultimi 10 mesi non ce ne fosse stata già abbastanza per molti. 

Il 2020 ha creato un ulteriore, enorme divario tra i favoriti e tutti gli altri. E chi come noi è sulla sponda giusta del fiume lo deve in gran parte al caso. Ma non solo, talvolta anche al merito. Ed è bene ricordarseli, i propri meriti, dopo un anno come questo. Per capire il nostro valore oltre al privilegio. E per aiutare chi il fiume lo osserva dal lato sbagliato.

Perciò stasera, seppur astemia, brinderò a due persone.

A me, di cui sono sempre la più incessante critica: questa volta voglio dirmi “brava” per aver tenuto tutto insieme, senza mai dimenticare gli altri.
E a Giulia, che quel fiume lo ha attraversato anni fa per dedicare la sua vita ai più deboli. A lei va la mia imperitura stima per aver scelto di rinunciare alla fortunata normalità che culla i miei giorni.

Tre

Sono cambiate tante cose negli ultimi tre anni, mentre non c’eri. Sono cresciuta – forse invecchiata – senza sentirti più al mio fianco, senza la tua camminata a lunghe falcate e quel sorriso dolceamaro. Ma soprattutto senza sapere dove fossi. Tre anni in cui la nostra amicizia – così perpetua da essere quasi ovvia – si è trasformata in un silenzio privo di soluzione. Tre anni di attesa senza alcuna data di scadenza, scanditi da ogni fase umana di dolore e accettazione, da una vita apparentemente normale ma con un pensiero rivolto sempre a te. Chissà se soffri, chissà se sorridi, chissà se sopravviveremo ai grovigli che ti hanno avvinghiato fino a stritolarti.
Chissà se ci rivedremo mai.

È arrivato il 2019 e guardando i fuochi d’artificio non ho espresso alcun desiderio, forse per non toglierlo a qualcun altro, a partire da te, forse per non cedere ad alcuna illusione, per imparare a convivere con le privazioni della realtà. Pochi giorni dopo, invece, la tua telefonata. L’oscurità che si fa penombra, mostrandomi una via che avevo temuto impossibile. Esco di fretta senza quasi dare spiegazioni, affinché nessuna parola ci possa rubare altro tempo; scendo le scale incredula, sentendo i gradini soffici, instabili quanto le mie gambe; apro il portone guardinga, ma invece è tutto reale: siamo di nuovo noi, proprio qui dove c’incontravamo dai tempi del liceo. Ci sono i tuoi occhi, finalmente meno tristi; c’è il tuo sorriso, dolce come forse non l’avevo mai visto; ci sono le nostre risate, che raccontano ancora una lunga amicizia. I sampietrini sotto i nostri piedi – solo loro – la conoscono bene: sono la nostra casa, in tutti i sensi, e spero di esserlo un po’ anch’io per te. Anche, soprattutto, ora.

Dopo tre anni, il silenzio non significa più attesa. Adesso è perdono, fratellanza, limpidità. Sorrido, peso le parole e mi sforzo di non piangere: se lo facessi penseresti di avermi ferita in questo tempo, invece non è così. Vorrei singhiozzare a dirotto solo perché, in questa fredda sera di gennaio, mi sto rendendo conto di quanto sperassi di ritrovarti. E di quanto sia fortunata a vedere esaudirsi un desiderio che non avevo il coraggio di confessare. Qualsiasi cosa ci riservi il futuro.

Passa una settimana, ed è ancora tutto vero. Sei qui, ti posso scrivere, sentire, vedere. Finalmente posso presentarti mio marito, che tanto ha sentito parlare di te: sono emozionata, pervasa da un misto di brio e titubanza come a un primo appuntamento. Il vostro. Seduti al tavolino rotondo di un bar, vi guardo chiacchierare con naturalezza, con la stessa cura che da sempre rivolgete a me, uniti inconsciamente dal commovente desiderio di non deludermi. Resto in silenzio, quasi sopraffatta dal candore dei vostri cuori immensi. Non scorderò mai questo momento: mentre lo penso sorrido, lenita dalla sensazione di pace, giustizia e bellezza che mi s’irradia dentro. Siete il tepore delle coperte quando fuori la brina colora i vetri delle auto, siete l’aria di montagna che pizzica il naso sotto a un cielo stellato, siete la stoffa portafortuna su cui mia mamma nebulizzava il suo profumo quando ero bambina, siete il pastore che mette al riparo il gregge prima della tempesta, siete il silenzio di una chiesa mentre fuori il mondo grida, siete il mare che sbuca all’orizzonte il primo giorno di vacanza. Siete il passato e il futuro, ma soprattutto il mio presente: siamo vivi, siamo al sicuro, e del domani non m’interessa nulla.

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