Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Tag: sentimenti

Firenze

È stata il teatro del mio primo amore. Dei primi mesi insieme in cui tutto è possibile. Il cuore pronto a esplodere ogni volta che il treno fermava a Santa Maria Novella o Campo di Marte. Il sole anche d’inverno, molto più che a Milano. Il caldo opprimente estivo, quando ancora davanti allo specchio nessuna gonna era troppo corta e nessuna maglietta troppo scollata. Le case basse del centro, con le imposte verdi invece delle tapparelle. Nuovi modi di dire che ancora ricordo. Golose abbuffate di ricette locali, fregandosene delle conseguenze. E la perenne, indimenticabile sensazione di trovarsi in un altro mondo: quello della scanzonatezza giovanile, in cui la felicità non ha alcun prezzo.

Non sono mai riuscita a tornarci. Per anni ho creduto che a impedirmelo fosse l’amarezza tipica di una prima storia che finisce: il ricordo del sogno infranto, il prezzo – quello sì – dell’infelicità. Poi ieri mentre la tv proponeva immagini di Firenze – scorci di una vita così lontana da non sembrare nemmeno mia – ho compreso che a trafiggermi non è affatto il finale doloroso, bensì la gioiosità di cui quegli angoli furono testimoni. Come quando guardi una vecchia foto di un momento speciale e capisci che, più che gli anni, a dividerti da quel giorno è ciò che nel mentre si è depositato sul tuo cuore. Quella ruvidità salvifica e necessaria, la cui assenza in giovane età rende però il primo amore tanto unico e dirompente.

Il pensiero di Firenze mi riporta a un’innocenza irripetibile, a una foga sentimentale perduta, alla capacità di sognare un futuro impossibile senza al tempo stesso preoccuparmi del domani. Mi ricorda quanto oggi sono diversa, benché nettamente migliore. E che questa testa sulle spalle talvolta pesa, mentre il cuore di allora volava. Non è rimpianto, semmai accettazione: cerchiamo di trattenere la vita in un conteggio – degli anni, delle stagioni, dei momenti importanti – ma in verità sfugge a ogni presa. Ed è per questo che rivedere un dato luogo può fare male: perché personifica ciò che la tua età, esperienza e solidità, non ti faranno mai più essere. Il vero invecchiamento, per cui non esiste crema miracolosa.

Senza titolo

Senza titolo, come una persona che non sai definire in una parola sola.
Come due occhi che vedono bellezza in tutto, ma non si fanno toccare da niente.
Come una marea di convinzioni prepotenti ma destrutturate, che s’invertono e contraddicono a ogni sorgere di luna lasciandoti solo due strade: credere a tutto ciò che esce da quella gola o non credere a nulla. Cercare la Verità nell’immediatezza di un istante insieme, oppure perdere ogni certezza nella sua estensione. In entrambi i casi, senza porsi domande.

Non me ne sono posta dinanzi al sorriso soddisfatto che mi ammirava gustare – gioiosa – uno dei suoi piatti. Fino all’ultima briciola di pane tostato a cubetti, fino all’ultima noce tritata. Con poche parole, molta musica, e gli occhi quasi languidi.
Non me ne sono posta in un lunedì mattina di maggio, fuori il diluvio e in tv i cartoni animati a ovattare ogni dolore. Come quando, da piccoli, si saltava la scuola e tutto era lecito, semplice, puro.
Non me ne sono posta in autostrada a 160 km/h, cantando Lucio Battisti insieme, la musica come unica via verso la spensieratezza.
Non me ne sono posta, o almeno ci ho provato, le volte che la mia ipersensibilità è stata incompresa, sottovalutata, maneggiata con approssimazione. Quando ho capito che nessun gesto era riservato a me soltanto, bensì gettato alla costante mercé di tutti, indistintamente. Carezze sulla schiena, complimenti, sorrisi, cene a due, una canzone ascoltata insieme. Niente di permanente, niente di intimo, solo la caducità di un attimo – prima che al mio posto si sieda qualcun altro.

Volere bene è un po’ come la grafia: ognuno lo fa a modo suo. Bisogna leggere tra le righe – anzi imparare a leggere quelle righe, scritte da una mano così diversa.
O forse no, forse basta apprezzare la bellezza di un tratto, anche se delinea parole per noi intraducibili. Troppo acerbe e incostanti per raggiungere il nucleo dell’anima, ma non per questo meno vere.

Cosa sono, adesso non lo so. Sono un uomo in cerca di se stesso.