Alice Ayres

You can't rely on other people to make you happy

Tag: amore

Crescere

Sai cosa mi emoziona più di un amplesso che strappa il respiro? Delle mani sul collo pronte a sottrarmi l’anima, di sentirlo dentro di me quasi ad allagarmi il cuore, della testa sudata che sussurra all’orecchio l’indecifrabilità del piacere? Dei baci, delle unghie sulla schiena e i morsi sulla pelle candida, delle contrazioni che nell’orgasmo abbracciano i fendenti della passione?
È il silenzio.
Il silenzio di chi sa. Di chi si conosce. La quiete che fa da contrappeso – da àncora – al tumulto irrazionale senza cui la mia non si può chiamare Vita.

Il silenzio interrotto dai tasti battuti sulla tastiera quando l’ispirazione sopraggiunge improvvisa, e allora chi hai accanto tace e si fa cullare da quel ticchettio, dalla bellezza di vedere nell’altro un vulcano in azione. Il silenzio del non aver bisogno di chiedere il caffè a fine pasto né di specificare senza zucchero. Di uno sguardo duro stemperato dal sorriso quando una lacrima di commozione si sporge verso le mie gote. Il silenzio di quando il pensiero di stare sbagliando tutto solca in un istante la fronte, e chi ti guarda lo capisce, e sa quanto fa male l’incertezza mentre ti accoltella. Il silenzio di chi non cerca un’emozione passeggera – come i ventenni che citano Prévert, bensì un complice in grado di prendersi cura di noi – come chi si scopre improvvisamente troppo vecchio per replicare schemi già visti. Fatti di sesso occasionale per “tirare a fine ego”, del bisogno di un riconoscimento esterno, di chiamare libertà la solitudine errante ed egoista. Dell’incapacità di fermarsi, a guardarsi dentro.

Il silenzio su una panchina al parco, dopo un orgasmo, durante un film, ascoltando una canzone che stringe il cuore, davanti al mare, nell’attimo prima di una risata sincrona. Il silenzio di chi sa che il cuore si ciba – sì – di emozioni passeggere, ma si sazia quando qualcuno sceglie di restare, di trasformare i battiti adolescenziali nell’adulta – consapevole – rassicurazione di stare bene accanto a quella persona. Ché in fondo l’amore è tutto lì, nel meccanismo ben oliato che profuma di casa.

I want more

Così familiare, così lontano.
Come toccare l’amore di una vita, come urtare un estraneo per sbaglio.
Una casa piena di ricordi, o forse solo di occasioni perse. Come questa, in cui potremmo guardarci e abbracciarci e ridere della nostra piccolezza di esseri umani illusi che l’Amore aggiusti errori, difetti e promesse immantenibili. L’occasione in cui piangere per ciò che siamo stati e abbiamo creduto di divenire l’uno per l’altra, ma soprattutto per lasciare che questo sentimento finito, consumato e a tratti insincero abbandoni per sempre la nostra anima, depositandosi sulle gote con la silenziosa purezza che solo una verità che fa male possiede. La verità che confesseremo alla nostra coscienza stanotte, nel buio dei rispettivi giacigli: Non ti amo più. E non da oggi, non da ieri, ma da così tanto che non sono in grado di riavvolgere il nastro del cuore e ricordare quand’è che lo hai fatto scalpitare senza alcun velo di terrore. Potrei baciarti adesso, e venire a letto con te in nome dei sorrisi ormai perduti, e illudermi che basti spogliarsi dei vestiti per scrollarsi di dosso la delusione che hai impiantato come un seme velenoso dietro ai miei occhi senza che mi opponessi, fino a trasformarmi nella persona scorretta che so essere quando la mia più vulnerabile speranza viene disattesa dalla persona a cui chiedo – semplicemente – di non combattermi. Potrei dirti le cose che ho fatto e accoltellarti con tutti i dettagli che la tua insensibilità meriterebbe, e cavare fuori dalla tua gola ira, urla e disprezzo solo per dimostrarti che quella del cinismo è una corazza ridicola che fa sentire al cuore meno dolore solo perché ne trattiene – comprime – i battiti, senza però dargli alcuna forza. Fino a quando quel che resta è soltanto un organo stanco… di non avere nemmeno vissuto davvero. Potrei raccontarti tutte le cose che non sai di te stesso, e sedermi davanti al grande schermo della tua esistenza per vedere un film prevedibile fino all’ultimo ciak, compatendo i protagonisti e quella sceneggiatura a cui la lettura di centinaia di libri non è servita a niente.
Potrei. Potresti.

“Ti hanno vista sabato in centro, eri con uno”.
Chissà se di me ti hanno detto anche altro, chissà se hanno visto i sorrisi, e il volto disteso, e la serenità di cui non avevo più memoria. Se hanno notato gli occhi che sembrano vedere tutto per la prima volta, persino la mia stessa città; o ancora le gambe che imparano a camminare leggere, come a danzare scalze sul bagnasciuga del futuro. Senza catene, senza quel dolore autoindotto che ci ha sempre accomunato, la lettera scarlatta della mia irrazionalità. Il lesionismo che ti agguanta per la trachea e trascina sott’acqua, convincendoti che la sofferenza sia l’essenza nobile della Vita, un’imprescindibile crudele identità. L’autolesionismo che oggi mi ha portato in questa casa per guardarlo in faccia. La tua faccia. E che infine mi ha vista uscire da quella porta in lacrime, ma conscia –  for the very first time – di non volergliela più dare vinta. Che il meglio, per me, deve ancora venire. E me lo merito tutto.

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora