Tu mi sembri un po’ stupita

di Alice Ayres

Nei giorni prima che quella parte di vita finisse, esorcizzavo la disperazione ascoltando due brani fino a che le lacrime m’impedivano di vedere il pc. Sadico e dalla memoria lunga, l’algoritmo me le ha riproposte questa settimana, ma la sua morbosità ha sparato a salve: non un moto di malinconia in me, nessun dolore — per dirla alla Battisti/Mogol. Ricordi amari, sì, ma relegati in un passato che provò, invano, a ingombrare il mio futuro.

La primavera è rinascita, dicono. Persino quando è piovosa come ora. Sdraiata di notte su un letto che ho atteso mesi a inaugurare, ho ascoltato il rumore del temporale sugli alberi e capito che non mi manca nulla. A questa mia vita bianca e privilegiata, mentre il mondo ci regala orrori inenarrabili, non manca niente. E non l’ho sentito solo nel silenzio di un nuovo luogo del cuore — la quiete della ricostruzione solida, matura, senza effetti speciali. Ci sono stati la gentilezza di persone insospettabili, l’importanza delle parole, la stima di chi abita la mia vita, il coraggio di dire i no che sanno indirizzare la rotta. La contezza del mio valore e la cesellatura di una realtà a mia immagine, senza però che ciò significhi non occuparsi degli altri: farlo attraverso me, non a mio scapito, è il segreto.

E poi, davanti a tutto, lo stupore. Prima ancora della soddisfazione, di un sorriso, di un moto di vanità: la sorpresa di scoprirmi non solo coriacea come sempre, ma anche capace di tenerezze che credevo dimenticate. Non qualche chilometro da percorrere bensì migliaia da galoppare, ecco cosa si staglia dinanzi alla mia anima non più stanca.
Infine – ché l’età non viene solo per nuocere – la consapevolezza: quella che ti fa tornare ragazzina con il cuore, ma restare donna con la mente. Sapere cosa si sta facendo, soprattutto quando è qualcosa di emozionante, potente, finanche erotico, regala all’esistenza un sapore molto più pieno. La cura, in tutte le accezioni possibili.