Zeppe
di Alice Ayres
Le avevo comprate in Monte Nero, in un negozio segnalato da una collega. “Vai lì che costano poco e sono carine”, aveva detto. Ero uscita presto da sola, a piedi lungo la vecchia darsena, per poi costeggiare Viale Bligny e ancora Sabotino. C’era il sole ed ero contenta: era un sabato mattina normale, in cui uscire di casa senza – stranamente – l’ansia di lasciarlo a fare chissà cosa, a scrivere chissà che a chissà chi. Per rincasare avevo preso il 9, con il sacchetto appoggiato scrupolosamente sulle gambe e quella stupida contentezza di quando si riesce a spendere due soldi per sé, dopo tante rinunce. Di quando vorresti fermarti a comprare il pane in un forno nuovo solo per assaggiarlo e valutarlo insieme a lui – complici di golosità – oppure passare al mercato a scegliere i pomodorini più invitanti che ho proprio voglia delle nostre bruschette. Di quando sorridi aprendo la porta di casa (per le commissioni brevi mi era permesso prendere il secondo mazzo di chiavi) nell’attesa di rivedere il suo viso. Nella speranza che non sia di malumore, che ti accolga con una frase dolce. Che quel sabato mattina di sole sia perfetto per davvero, non solo nella tua testa.
Piacevano le scarpe sobrie, a lui. Gli piaceva che la sua donna non fosse appariscente, salvo poi girarsi a guardare tutte le altre, facendoti sentire sempre una fila indietro nella platea delle sue fantasie. Ogni volta che tiro fuori le zeppe – le uniche, peraltro – rivedo davanti a me la stessa scena: lui che dice che mi stanno bene, che non sono male, io che soddisfatta della sua approvazione ripongo con cura il sacchetto all’ingresso. Ripenso alla passeggiata insieme, dopo pranzo, verso la sua libreria preferita: io mi facevo attirare dalle copertine in bella vista dei volumi del momento, dalle loro pagine ruvide e corpose; lui andava certosinamente alla ricerca del titolo preciso di qualche autore americano. Mentre si avvicendava tra gli scaffali, prima che lo accompagnassi al bar a prendere un caffè – talvolta uncaffèeunabottigliadiacquanaturale – restavo a osservarlo tra un corridoio e l’altro, il mio sguardo come una sapiente carrellata alla Sorrentino: lui, così vicino e così lontano, io così scioccamente innamorata. “Il mio lettore”, pensavo a volte tra me e me in quegli istanti, ché addormentarsi con la testa sul suo petto mentre leggeva un libro metteva a tacere ogni ferita, persino quelle inflitte da lui.
Era un sabato di sole, di saldi, di meritata leggerezza. Quel sacchetto all’ingresso l’ho portato via di corsa, esasperata e rabbiosa, sbattendo la porta: l’ennesima illazione, l’ennesima scena muta, l’ennesimo attacco senza fondamenta, l’ennesima messa in discussione della purezza del mio sentimento. Crudele, come la paura di lasciarsi andare. Come la pretesa di avere una compagna a tratti invisibile per potersi concedere il lusso di notare tutte le altre.
Non le indosso quasi mai. Perché ogni volta che provo a calzare quelle scarpe con la zeppa mi torna in mente quanto sia facile, quando non si ama, rovinare una giornata di sole.
Lo ammetto. Ho poco tempo e ancora meno per lasciarmi trasportare dalle sensazioni scritte dagli altri in questo mare magnum che mi si apre davanti sul mio smartphone. Ti ho sempre letto (a volte ho anche risposto a qualche tuo tweet!!!) un po’ distrattamente, lo ammetto. Ma credo che il tuo blog diventerà uno dei miei posti preferiti. Scusa se non ti ho letto come avresti meritato prima. 😉
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Questo è uno di quei messaggi che fanno arrossire.
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E’ molto bello questo post.
E magari un giorno, anche se non è finita bene, ti rimetterai quelle zeppe, tanto il sole della giornata ce l’avrai dentro e non avrai voglia di cercarlo negli occhi di qualcuno che non te lo sa dare.
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Leggo solo ora.
È un pensiero bellissimo, e sì, il mio sole sarà (ed è) il traguardo più importante.
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Volevo scriverti per dirti che gli uomini della tua vita son stati fortunati ad averti.
Addio.
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Immagino bene come sia finita la mattinata. Le persone come lui non valgono niente. In realtà non varrebbero la pena neanche di un post, però tu riesci a catturare così bene la luce delle cose, che sarebbe un vero peccato se smettessi di scriverne. Un abbraccio di solidarietà.
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Sono tante le cose a cui non bisognerebbe dedicare spazio. Ma senza attraversare delusione, amarezza e dolore, non si arriverebbe mai dall’altra parte. Anche a costo di dar loro troppa importanza.
Grazie!
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Chi trasforma le proprie insicurezze in gelosia non è mai cresciuto.
Così come chi si perde dietro le altre, con la propria compagna vicina. Sempre in cerca di nuove figurine.
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Quei “chissà chi” e “chissà che” che un po’ tormentano tutti, solo certe volte di più e superano un limite che mai andrebbe superato: quello dell’amor proprio. A noi che spesso lo superiamo, ancora e ancora, ché siamo pronte ad amare con molto più di noi stesse sole, ma con tutta l’anima.
Tu però sei così bella, così come sei.
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