Vasectomia is the answer

di Alice Ayres

Esiste qualcosa di peggio di un uomo senza palle? Sì, un senzapalle che si riproduce. Pare infatti che lo status di neo-papà abbia la capacità di trasformare quelli che già erano delle macchiette in ulteriori parodie umane. Certo, mi rendo conto che mettere al mondo un figlio significhi tecnicamente dimostrare di averli, quei coglioni. Ma da qui a sfoggiare con fierezza il rincoglionimento emotivo che imbalsama la faccia in deformanti espressioni da ebeti, ne passa.

Non sto dicendo che qualunque padre sia un imbecille, magari un po’ antisesso quello sì, ma non generalizziamo. Per strada – soprattutto all’estero, penso a Stoccolma dove tutti figliano come conigli – si incontrano affascinanti padri che spingono passeggini e carrozzine con disarmante naturalezza e serietà, pragmatici, paterni e distinti al punto giusto. Lo stesso però non avviene in Italia: non so se sia un discorso di passionalità nazionale, di sentimentalismo tricolore da affiancare al cliché di pasta, pizza e mandolino, sta di fatto che dinanzi agli atteggiamenti di qualche neo-papà nei riguardi del suo neonato mi cascano le ovaie ai piedi.

Parola numero uno: buonismo. Metti al mondo un figlio e di colpo la vita diventa un morbido confetto gigante, non esiste più la cronaca nera, né la crisi economica, nemmeno il cancro. Il pargolo è nato, mission accomplished, chi se ne frega se la parte difficile in realtà inizia proprio adesso. Non che uno debba tagliarsi le vene anche il giorno del parto, per carità. Ma cominciare a fottersene di ciò che succede agli altri in virtù del proprio momento magico, anche no. Che poi diciamocelo, mentre il corpo della vostra compagna si deforma per nove mesi, voi impiegate lo stesso lasso di tempo a decidere se assistere frontalmente all’evacuazione della creatura oppure no. Non fate un cazzo di niente ma poi davanti alle urla di dolore della poveretta che immola per sempre la sua vagina per vostro figlio vi sentite importanti.

Parola numero due: superpoteri. I neo-papà che fino al giorno prima di vedere la testa del figlio/a uscire dalla suddetta vagina cercavano ancora di dare un senso alle loro inutili esistenze inebriandole con la spesa al super del sabato pomeriggio, all’improvviso si sentono dei supereroi Marvel con il superpotere dello spermatozoo mitologico. Ora, io capisco che passare dal non avere le palle ad averne un paio funzionanti sia per voi una sufficiente ragione di giubilo, ma forse è bene ricordarvi che esistono centinaia di uomini al mondo che procreano quanto o più di voi senza nemmeno esserne consapevoli – e senza quindi ammorbare tautologicamente il prossimo con le mirabolanti (!) avventure del loro apparato riproduttivo.

Parola numero tre: idiozia. Avete presente quando un neo-genitore vi parla del suo bambino e nel mentre diventa un po’ rosso, con gli occhi luccinati, il sorriso da ritardato e quella vocina fastidiosa che di solito si riserva ai cuccioli di cane o gatto? Ora, comprendo perfettamente quanto sia dolce e teneroso tornare a casa la sera da un fagottino che dorme, mangia, caga e piange. Lo capisco davvero, giuro: io adoro i neonati degli altri. Sono certa e lieta che, una volta varcata la porta di casa, vi trasformiate in deboli esseri umani al totale servizio del marmocchio appena sfornato e della neo-madre che, in casi come quelli dei soggetti di cui parlo, sarà una pigra vessatrice intenta a farvi credere che allattare sia uno sforzo molto più massacrante che lavorare tutti i fottuti giorni (vogliamo parlare delle madri che si lamentano della maternità? Da prendere a schiaffi). Affari vostri, per carità. Fuori dalle mura domestiche però, vi prego, non mostrate tutta questa mollez…, ehm, umanità senza che vi sia espressamente richiesto. Non me ne frega un cazzo di sapere che oggi c’è stato il primo giro in carrozzina per le vie della città, né che il tentativo con l’omogeneizzato alla pera non è andato a buon fine. Se voglio questo genere di informazioni (può capitare) le chiedo, ma di certo farmi trapanare il timpano senza preavviso da quella vocina da maschi evirati non è il mio sport preferito. Dovreste essere uomini, per Dio. U-o-m-i-n-i.

Parola numero quattro: fotoreportage. Lo ammetto, avrei sempre voluto un bel librone con tutte le foto della mia evoluzione, specie in fase neonatale, e mi rincuora sapere che le nuove tecnologie consentano a tutte le famiglie fresche di taglio del cordone ombelicale di scattare fotografie in ogni momento della giornata della piccola creatura venuta alla luce. Quello che invece non comprendo è perché queste immagini trapelino sempre più del dovuto: la vecchia fotina che si teneva nel portafoglio oggi è stata sostituita da interi album su cellulare o pc, senza possibilità né di tregua né di scampo. Se un tempo morivo dalla voglia di vedere un’immagine del pupo/a ora ho paura di domandarlo, perché spesso tale richiesta degenera in un calvario di almeno 50 foto tutte uguali tra loro (avete in mente quando si fotografano i cani?), spesso arricchite da cartonati di parenti vari tutti accomunati dalla stessa espressione idiota, quando magari si odiano pure tra loro. Una cosa è certa: se continuate a tartassare un bimbo con il fulmicotone, prima o poi vi diventa epilettico. Ma consolatevi: avrete comunque tante immagini-testimonianza di come fosse prima dell’inizio delle crisi.

Parola numero cinque: eredità genetica. La cosa più raccapricciante di un coglione che si riproduce è il modo in cui educherà i figli. Se lo scenario che i bambini si troveranno davanti ogni giorno sarà quello di uno smidollato che si fa schiavizzare dalla moglie bisbetica, incapace di dire un solo no sia a lei che ai figli… beh, forse il prodotto finale sarà persino peggiore di quello di partenza. Evviva i preservativi.